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Sotto al Poggio

Intervista a Loredana e Giovanni, apicoltori. Prima del 2010 non conoscevo le api, questo a Giardino è il podere di mio nonno e io ho sempre abitato qua fino a quando poi sono andata all’università. Ho studiato a Firenze Architettura e dopo la laurea sono tornata per qualche mese e ho continuato a lavorare qua come architetto. Dopo c’è stata l’opportunità di iniziare quella che speravo fosse una carriera da architetto a Torino.  Lassù dei nostri amici valdostani che avevano le api da molto tempo mi hanno consigliato di provare questo mondo perché mi sarebbe sicuramente piaciuto.

Così, un po’ per scherzo, ho iniziato e, quando stavo a Torino, nel 2011 ho comprato i primi quindici alveari e ho imparato seguendo un apicoltore a cui devo tantissimo, lo zio di questi nostri amici. Il secondo anno avevo già quindici alveari e ho iniziato seguendolo nei suoi apiari e mettendo i suoi insegnamenti in pratica con le mie piccole famiglie.

Un po’ perché la campagna mi mancava come l’aria, un po’ perché non avevo grandi prospettive di lavoro a Torino, a fine 2013 io e Giovanni ci siamo trasferiti qui in Maremma, facendo due viaggi diversi, uno per il nostro trasloco e uno per quello delle api. Ho iniziato il mio lavoro da apicoltrice nel 2015 qui con 15 famiglie, quelle che ho portato giù dal Piemonte. All’inizio è andata molto bene, il primo è stato un anno bellissimo: ha piovuto tanto, sembrava di essere in Irlanda anziché di essere a Orbetello, dove ormai la siccità è un dato di fatto. Avevamo un piccolo magazzino che è stato trasformato in un piccolo laboratorio di 18 mq dove facevo tutto e poi piano piano abbiamo iniziato a ingrandirci. Siamo ancora molto piccoli, perché attualmente abbiamo cento alveari. Per un’azienda apistica una volta sarebbero stati dei numeri che avrebbero assicurato un buon reddito, mentre adesso le produzioni di miele sono ridotte moltissimo e noi facciamo un tipo di apicoltura che punta più che altro al rispetto dell’animale, al rispetto della natura e di tutto quello che ci sta intorno. Proprio per questo motivo abbiamo ad esempio scelto di non praticare più nomadismo, per evitare di stressare le api.

Qui l’inverno praticamente quasi non esiste. Le api naturalmente farebbero un blocco di covata, cioè quando fa freddo e non ci sono molte fioriture, la regina smette di deporre le uova. Le api vanno normalmente in “pausa” durante l’inverno, continuano a scaldare il nido perché hanno bisogno di una temperatura sempre intorno ai 34-36 °C all’interno, quindi hanno molto da fare e non possono uscire a raccogliere e si riposano. Qui invece questo non succede, perché o la temperatura scende solo per un breve lasso di tempo, quindi con le fioriture invernali, tipo rosmarino e le fioriture della macchia mediterranea, loro ripartono subito con la produzione già da gennaio-febbraio. Di fatto, il nostro lavoro è quasi una produzione continua, però la quantità è limitata. Quest’anno è andata bene, abbiamo iniziato a lavorare, a produrre, già da aprile e abbiamo un periodo molto lungo di pausa d’estate perché fa caldo, non piove e il problema è la siccità. Se piovesse raccoglieremmo anche ad agosto, però negli ultimi cinque anni non è più accaduto e abbiamo avuto un bel vuoto di fioriture. In autunno ci sono molte fioriture, sia di campo che di macchia, che permettono di produrre un po’ di miele o, se le famiglie sono molto deboli, fare scorta per l’inverno. Come quantitativo annuale di produzione, in un anno buono saremmo contenti se riuscissimo a fare 20-25 kg di media ad alveare. Non è tanto, però il fatto di non spostarle abbassa anche moltissimo la varietà e la quantità di miele che potremmo produrre. Potremmo sicuramente fare di più con una gestione diversa, ma non vogliamo assolutamente dare sciroppo alle nostre api per produrre 10 kg di più ad alveare, anche perché poi, essendo biologici, certe cose non le possiamo fare, a meno che ci siano delle delibere regionali.

I nostri mieli di punta sono quello di marruca, un miele molto raro, e il millefiori. Qui a Giardino riusciamo sempre a fare un millefiori abbastanza delicato che infatti è quello che poi usiamo anche per l’accompagnamento alla pasta di nocciole, perché serve un millefiori che non vada a coprire troppo il sapore della pasta. Da quest’anno stiamo iniziando a produrre una linea con i millefiori che cambiano a seconda della stagione, mi piacerebbe chiamarlo “Bouquet di Maremma”, dove ci sarà sia il millefiori di primavera che quello d’estate. Se in primavera le api riescono a bottinare sull’erica, sul rosmarino e sull’alaterno, una pianta della macchia mediterranea, ne risulta un miele molto profumato, che sa di liquirizia e di caramello grazie all’erica, mentre il rosmarino tende ad attenuare un po’ quei sapori. Sono mieli che in genere cristallizzano abbastanza velocemente e che hanno un richiamo alle fioriture della macchia mediterranea. D’estate invece c’è prevalenza di leguminose e marruca, che sa di caramella al miele. Le leguminose, la sulla e l’eucalipto, donano al miele un sapore più forte ed in più c’è il trifoglio che ha un retrogusto ancora più vegetale.

Il miele potrebbe essere un piccolo bigliettino da visita per far capire la complessità della natura attraverso il sapore del miele. Attraverso le consistenze e la sua storia ci rendiamo conto del posto in cui viviamo che non è costituito solo dal mare, dalle spiagge e dall’andare fuori a cena. In realtà questo posto ha una potenzialità e una ricchezza che neanche noi stessi che ci abitiamo riusciamo a capire e a riconoscere e per me il miele è un modo di raccontare un territorio.

Una cosa fondamentale per il miele è la cristallizzazione, questo aspetto dev’essere molto chiaro al cliente. A seconda del periodo dell’anno, e a seconda della tipologia di miele, ci saranno dei mieli che cristallizzano in maniera più forte, altri che invece restano un po’ più liquidi. Il miele è una cosa naturale, noi non la modifichiamo. Il nostro miele viene prodotto tra i 35– 40 °C, cioè ad una temperatura naturale, che è la stessa all’interno dell’alveare; quindi non lo andiamo a surriscaldare per renderlo liquido, perché poi a 60 °C avviene un processo irreversibile. I mieli perennemente liquidi sono pastorizzati.

Il millefiori in generale per me è proprio l’espressione di un territorio, e più di ogni altro miele rappresenta la vita, perché sappiamo che lì dentro c’è una moltitudine di pollini, di fiori, che non sapevamo neanche ci fossero qui. Questo significa letteralmente mangiare un territorio, un territorio vivo, che è creato dal lavoro delle api, che loro hanno contribuito a rendere più ricco. Secondo me, il miele, tra tutti i prodotti che mangiamo, è veramente quello che ci fa sentire più parte della natura: mai uguale a sé stesso, mai, e poi il polline è vita anche per noi.

Il miele in cucina si potrebbe usare praticamente ovunque, potrebbe essere quasi il completo sostituto dello zucchero nei dolci, ma bisogna stare attenti ai tempi di cottura e alla temperatura del forno, altrimenti si brucia. Anche le quantità cambiano, ma già sostituire anche solo metà dello zucchero cambia totalmente il risultato finale della ricetta, perché il miele rilascia aromi molto delicati, ma in realtà molto percettibili. Io ad esempio lo uso quando faccio un soffritto per i risotti, in particolare per quello al radicchio, aggiungendo il miele al soffritto di cipolle rosse. Lo usiamo spesso anche per condire l’insalata, per fare la vinaigrette, oltre che abbinandolo al formaggio.

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